ANTICHI MESTIERI

I pupi in paggio (ovvero, senza l’armatura) precedono senz’altro quelli armati e venivano utilizzati per rappresentare alcuni racconti siciliani e le farse, che vengono rappresentate ancora oggi. Dagli studi emerge inoltre che, sin dal Cinquecento, in tutta Europa le storie cavalleresche venivano messe in scena con marionette e nel Settecento spettacoli di questo genere sono attestati anche in Sicilia.Tuttavia, soltanto nei primi decenni dell’Ottocento, in Sicilia, il repertorio cavalleresco ottiene un successo così strepitoso da soppiantare tutti gli altri e determinare una serie di innovazioni tecniche e figurative.

«Ciò avviene, probabilmente, per effetto ritardato dell’interesse preromantico e romantico per il Medioevo. Ma è anche conseguenza di geniali invenzioni tecniche che permettono di dare una straordinaria efficacia al combattimento, che diviene una danza esaltante, ritmata in crescendo dai colpi dello zoccolo calcato dal puparo, tale da sollecitare un’intensa partecipazione psicomotoria nel pubblico, e che rimanda alle danze armate diffuse in tutta Europa. Nell’Ottocento, la prevalenza dei soggetti cavallereschi, la sistemazione canonica del repertorio, l’introduzione delle corazze metalliche che rendono splendenti e fragorosi i pupi, la meccanica particolarmente adatta a rappresentare i combattimenti con le spade determina così la nascita dell’opera dei pupi»[9].

L’opera dei pupi ha attraversato nel corso del tempo alcuni periodi di grave crisi: Giuseppe Pitrè alla fine dell’Ottocento ne registrò il declino; una nuova crisi risale agli anni Trenta del Novecento e fu dovuta alla diffusione del cinematografo; la più recente, e ancora più incisiva, è quella degli anni Cinquanta-Sessanta quando i quartieri popolari delle città iniziarono a svuotarsi e la cultura tradizionale cominciò ad essere rifiutata dai ceti popolari, anch’essi raggiunti dalle nuove forme di benessere economico di era consumistica. Nonostante questi periodi di difficoltà, l’opera dei pupi viene ancora oggi praticata da diverse compagnie isolane di antica o più recente storia e attira nuove frange di pubblico manifestando una rinnovata vitalità.

La proclamazione dell’opera dei pupi siciliani[6] come “Capolavoro UNESCO del patrimonio orale e immateriale dell’umanità” nel 2001, su candidatura supportata dall’Associazione per la conservazione delle tradizioni popolari[12], ha fortemente contribuito a rilanciare l’attenzione sull’opera dei pupi. Prima pratica italiana ad ottenere questo importante riconoscimento, nel 2008, l’opera dei pupi è stata iscritta nella Lista Rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’Umanità, in seguito alla ratifica da parte dell’Italia della Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale del 2003.

Il pupo e il puparo: da Wikipedia

Dotati di una ossatura di legno, i pupi sono provvisti di vere e proprie armature, riccamente decorate e cesellate, e variano nei movimenti in base alla “scuola” di appartenenza, palermitana, catanese. Esse differiscono per alcuni aspetti della meccanica e figurativi e per alcuni soggetti.

In generale, l’ossatura è composta da un busto di legno, al quale si collegano le gambe, che fanno un movimento pendolare. Vengono mossi con fili e ferri. Il ferro cosiddetto principale, a cui sono fissati i fili utilizzati per manovrare gli arti, attraversa la testa e la unisce al busto. L’estremità superiore del ferro ha la forma di un uncino: esso viene usato per appendere il pupo, anche quando è sul palco, e, se inclinato, per far muovere la marionetta.

Dal punto di vista figurativo, genericamente si possono distinguere i personaggi con l’armatura (armati) e quelli senza (in paggio) le cui caratteristiche rispondono ad un complesso codice iconografico. Le armature e i costumi delle marionette seguono la moda romantica ottocentesca di rappresentare il Medioevo.

Tra i personaggi armati, si possono distinguere gli eroi cristiani e quelli saraceni. I guerrieri cristiani hanno volti gentili e tratti simmetrici, indossano un gonnellino (chiamato a Palermo faroncina e a Catania vesti) e presentano gli emblemi del casato su elmo, corazza e scudo permettendo al pubblico affezionato di riconoscere i personaggi. I saraceni, hanno tratti del viso più marcati; indossano spesso pantaloni e turbante e le loro armature sono decorate con mezze lune e stelle. Tra i personaggi in paggio, si distinguono i personaggi comici: a Catania il più noto è Peppininu, maschera popolare che fa da scudiero ad Orlando e Rinaldo ; a Palermo, Nofrio e Virticchio si esibiscono invece nelle farse, di tono licenzioso e buffo, che spesso chiudevano la rappresentazione e che risalgono alle vastasate[13], rappresentazioni comiche derivate dalla Commedia dell’Arte.

Il puparo – detto anche “oprante”, “teatrinaro” e, a Napoli, “pupante” – gestisce il teatro, cura lo spettacolo e anima i pupi dando suggestioni, ardore e pathos alle scene epiche rappresentate; dipinge le scene e i cartelli, talvolta costruisce i pupi (in particolare, il termine puparo indica il costruttore dei pupi anche se oggi è utilizzato in senso più generico)[14]. I pupari sono custodi di un vasto patrimonio di storie, codici performativi e tecniche costruttive che ancora oggi si tramandano oralmente di maestro in allievo.

Per promuovere gli spettacoli, venivano esposti fuori dai teatri i cartelli, oggi utilizzati per decorare le pareti dei teatri. Dipinti con colori vivaci, rappresentano i diversi episodi del ciclo carolingio e informavano a che punto della narrazione si era arrivati.

Pupi, cartelli, scene e oggetti scenici costituiscono il mestiere della compagnia, ovvero quell’insieme di oggetti necessari alla messa in scena dello spettacolo.